Chirurgo generale, endoscopista perfezionato nella diagnosi e nella terapia delle malattie dell’esofago e dello stomaco
SISME
ACOI
25 aprile 2025 - 

Notizie



L’esophagogastric junction outflow obstruction significa ostruzione al passaggio, in questo caso del cibo, attraverso la giunzione esofagogastrica. Circa il 10% dei pazienti che eseguono una manometria ad alta risoluzione hanno una diagnosi di outflow obstruction. Sono utilizzati dei termini americani perché la classificazione è quella di Chicago (USA), giunta alla quarta versione (v4.0) e così chiamata perché è stata ideata da due gastroenterologi della Università di Chicago, John Pandolfino e Peter Kahrilas. Nella classificazione di Chicago 4.0 si afferma che “a manometric diagnosis of outflow obstruction must always be considered clinically inconclusive”, cioè la semplice diagnosi manometrica deve essere correlata sempre alla sintomatologia del paziente, a eventuali indagini per la conferma diagnostica e deve essere considerata clinicamente rilevante (cioè che necessiti di approfondimento diagnostico e/o di un trattamento) solo in presenza di:

  • Un elevato IRP (integrated relaxation pressure, vedi sotto) in posizione supina e ortostatica (paziente sdraiato ed eretto)
  • Altri esami diagnostici che documentino un’ostruzione a livello della giunzione esofagogastrica (radiografia dell’esofago con mezzo di contrasto e Endoflip, vedi sotto)
  • Disfagia e/o dolore toracico

Ma cos’è l’IRP? In manometria valuta il rilasciamento della giunzione esofagogastrica e quindi sostanzialmente il rilasciamento dello sfintere esofageo inferiore all’atto della deglutizione. Infatti, quando iniziamo la fase volontaria della deglutizione cioè la base della lingua e il faringe spingono il bolo verso l’esofago si aprono tanto lo sfintere esofageo superiore quanto quello inferiore cosicché il cibo entra in esofago e viene spinto dalla peristalsi esofagea in stomaco. L’IRP in posizione supina deve essere inferiore a 15 mmHg e in posizione seduta a 12 mmHg (le variazioni di pressione sono misurate in mm di mercurio -Hg-). Per questa è fondamentale che la manometria sia ad alta risoluzione, eseguita sia in posizione sdraiata che in posizione seduta e con dei test aggiuntivi quali le deglutizione rapide (multiple rapid swallow) e il cosiddetto rapid drink challenge, cioè, bere rapidamente 200 ml d’acqua.

L’outflow obstruction può essere idiopatica, cioè primitiva senza una causa identificabile, oppure secondaria a varie patologie. Questa diagnosi è più comune nel sesso femminile con un’età media che varia dai 51 ai 69 anni. Il sintomo preponderante è la disfagia associata a dolore toracico, rigurgito, pirosi (bruciore), tosse, sensazione di globo a livello faringeo o dell’esofago cervicale. Tale patologia come detto può essere secondaria a varie cause che devono essere identificate, quali:

  • organiche benigne, ernia iatale, stenosi esofagea, diverticoli esofagei, volvolo gastrico, varici esofagee, compressione vascolare, anelli cicatriziali esofagei (anello di Shatzki), esofagite eosinofila
  • postchirurgiche, plastica antireflusso, bendaggi gastrici o altri tipi di chirurgia bariatrica (chirurgia dell’obesità)
  • organiche maligne, neoplasie esofagee, gastriche o neoplasie metastatiche
  • farmacologiche, assunzione di oppiacei

Per questo motivo il paziente dovrebbe eseguire un’esofagogastroduodenoscopia e una radiografia dell’esofago con mezzo di contrasto baritato assunto per bocca. La radiografia con mezzo di contrasto può diagnosticare ad esempio un’ernia jatale o una stenosi mentre un’esofagogastroduodenoscopia con biopsie un’esofagite eosinofila o una neoplasia. Di ausilio può essere la radiografia dell’esofago con mezzo di contrasto, il cosiddetto timed barium esophagram, cioè il paziente beve del bario in posizione ortostatica (in piedi) e poi vengono scattate delle radiografie a 1, 2 e 5 minuti per valutare lo svuotamento esofageo. Un altro esame utile può essere l’Endoflip cioè un sistema di planimetria ad impedenza che fornisce informazioni real-time della geometria e delle pressioni dello sfintere esofageo inferiore e quindi può essere utilizzato come aiuto diagnostico (85% dei pazienti con “vera” outflow obstruction ha un esame FLIP alterato) e conferma terapeutica dell’eventuali procedure utilizzate per il trattamento di tale patologia.

I pazienti asintomatici non devono essere trattati, quelli con outflow obstruction secondaria devono essere sottoposti al trattamento della causa diagnosticata. La forma idiopatica, primitiva, cioè senza un’apparente causa, può avere una risoluzione spontanea nel 43-50% dei casi entro 6 mesi. Comunque, per adesso, non è possibile distinguere i pazienti che avranno una risoluzione spontanea rispetto a quelli con la persistenza dei sintomi o quelli che progrediranno verso l’acalasia. Date le alte percentuali di risoluzione spontanea non sempre è richiesto un trattamento dopo la diagnosi manometrica. Se i sintomi sono modesti o atipici il paziente deve eseguire un semplice follow-up ambulatoriale, se invece il paziente è sintomatico, e quindi riferisce disfagia e/o rigurgito, con evidenza anche di alterazioni alla radiografia dell’esofago con mezzo di contrasto baritato o all’Endoflip, è indicato un trattamento farmacologico, endoscopico o eventualmente chirurgico (vedi acalasia, analisi delle opzioni di trattamento). I farmaci, quali i calcio antagonisti, i nitrati, gli antidepressivi triciclici, gli antispastici sono stati utilizzati con risultati estremamente variabili. L’iniezione endoscopica di tossina botulinica dello sfintere esofageo inferiore è una metodica a basso rischio con dei buoni risultati presenti in letteratura. Infatti, in pazienti con disfagia o dolore toracico, si ha avuto un miglioramento dei sintomi per più di 6 mesi in circa il 75% dei pazienti e un miglioramento transitorio per meno di 6 mesi nel 100% dei pazienti. Il limite, quindi, della metodica è la sua durata nel tempo. La dilatazione endoscopica con palloncino da 20 mm dà scarsi risultati con un miglioramento in circa il 35% dei pazienti. La dilatazione endoscopica pneumatica con palloncini di maggior diametro, 30 o 35 mm, cioè gli stessi utilizzati nell’acalasia, ottengono buoni-ottimi risultati in circa l’80% dei pazienti con un effetto duraturo nel tempo. L’intervento chirurgico, cioè la miotomia, ha dimostrato eccellenti risultati in diversi lavori pubblicati in letteratura. Questa miotomia può essere fatta per via laparoscopica, robotica o anche per via endoscopica (POEM). I lavori riportano un successo nel 95-100% dei pazienti. L’effetto avverso più temuto della POEM è quello del reflusso gastroesofageo che può colpire fino al 40% dei pazienti trattati. Tale rischio di reflusso è decisamente ridotto nei pazienti sottoposti a miotomia laparoscopica o robotica per il confezionamento della plastica antireflusso anteriore sec. Dor dopo la miotomia.

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